Difficile inizio anno: tensione sui mercati, Banche in difficoltà, export in calo, segnali di recessione.
Sapevamo che l’anno 2019 sarebbe stato difficile per il Paese ma non si ipotizzava che sarebbe stato di difficile interpretazione anche per l’Europa, Germania compresa.
Volatilità e tensione sui mercati, le borse di tutto il mondo in altalena, effetti che si riverberano anche sulla Borsa di Milano, lettura controversa della varata Legge di Bilancio, pressing della Bce sulle banche per i crediti dubbi (NPL) da smaltire, tutte le banche italiane penalizzate in borsa con in testa Carige e Mps. Inoltre vi sono segnali importanti di diminuzione dell’export della Cina e della Germania: quest’ultima per la prima volta presenta una contrazione del Pil e difficoltà di produzione nel settore auto che ha forti interdipendenze con la filiera italiana della meccanica.
Preoccupano i segnali di stagnazione se non di recessione che si sono manifestati non solo in Italia ma nel mondo, in particolare fra i paesi Ue. Infatti nel terzo trimestre 2018 l’unica grande economia europea a non dare segni di rallentamento è stata la Francia, ma le forti tensioni sociali hanno fatto crollare l’indicatore di fiducia dei consumatori e imprese e nulla vieta che anche tale paese si stia fermando.
Ci si domanda se la recessione sia alle porte e si stia consolidando, e se il modello di solo export su cui si è fondata l’economia Tedesca, inseguita anche dal nostro paese, cominci a dare segni di debolezza.
Bisogna tener presente che a fronte di persistenti avanzi di bilancia commerciale generati dall’export altri paesi del mondo devono registrare seguitanti disavanzi, cioè essere importatori netti. Attualmente oltre all’Eurozona con la Germania in testa, sono il Giappone e la Cina che hanno adottato un modello di sviluppo basato sulla domanda estera, mentre rimangono solo gli Usa come macro area con uno sbilancio commerciale. Dopo la Presidenza Trump questo stato di cose è stato messo in discussione pertanto l’Eurozona deve cominciare a preoccuparsi e a sostenere l’economia stimolando la domanda interna.
La politica monetaria è arrivata al limite, inutile ridurre i tassi negativi (-0,4%). Il Qantitive Easing è terminato e un nuovo programma di finanziamenti alle banche non sarebbe sostitutivo del Qe: quest’ultimo immette liquidità nel sistema direttamente, mentre la liquidità fornita alle banche non sempre arriva ai mercati in quanto in parte utilizzata per rifinanziare il proprio debito e trattenuta per il pericolo di nuovi Npl verificato il peggioramento delle prospettive economiche.
Dovrebbe essere la politica fiscale a sostenere la domanda interna, con tagli alle imposte e progetti di investimento che massimizzino il moltiplicatore. Invece Italia e Francia fanno l’opposto: aumentano la spesa corrente, che ha un ridotto impatto sulla crescita, per inseguire il consenso e trovare la pace sociale.
La vera svolta per l’Eurozona sarebbe la rinuncia tedesca all’avanzo di bilancio per sostenere la domanda interna con investimenti pubblici e minori imposte. Sembra un cambiamento epocale, ma le minacciose nubi sul Pil dovrebbero allertare la Germania e l’intera Ue a ripensare un modello di sviluppo e gestione della politica economica fondato su leve diverse e non solo sull’export.
Se non ci sarà un atteggiamento diverso sulla politica comunitaria e in Germania in particolare, il rischio di una recessione con pesanti conseguenze per i paesi in difficoltà come l’Italia può essere un pericolo concreto.