IL MITO DEL DEBITO SOVRANO DA AUMENTARE PER SUPERARE LA CRISI
Il nostro governo sembra guardare al Giappone come modello ideale di finanza pubblica: debito e deficit pubblici più elevati dei nostri ma senza inflazione e preoccupazione per lo spread.
In occasione della prossima legge di bilancio in autunno il necessario contenimento del debito pubblico è ottenibile o aumentando le tasse (Iva o patrimoniale) o tagliando la spesa e quindi i servizi.
L’alternativa sul campo è quella di aumentare il debito pubblico spingendolo oltre il 3% del Pil per far quadrare i conti.
Secondo questa corrente di pensiero i problemi di bilancio dell’Italia sarebbero quindi originati dai vincoli di Maastricht e della Bce che ha smesso di comprare Bpt. Basterebbe dunque avere una Banca d’Italia autonoma e libera dai vincoli Ue e casomai uscire dall’Unione Europea per attuare una politica finanziaria simile al Giappone per tornare a crescere (contraendo più debiti).
Idea erronea: una più attenta verifica della politica di bilancio giapponese dimostra come imitare il Giappone aumentando il debito pubblico non sia praticabile per l’Italia
Misurato secondo criteri omogenei Ocse (includendo i derivati e il valore attuale degli impegni futuri dello Stato verso la previdenza, recentemente aumentati con quota 100) il rapporto debito/Pil italiano salirebbe al 153% (dato Istat comunemente riportato 132,15 a fine 2018).
Sarebbe il doppio della Germania (71%) mentre sarebbe ancora inferiore al 223% del Giappone.
Ma mentre il rendimento dei titoli giapponesi da anni è vicino allo zero così come in Germania, l’Italia paga uno spread arrivato ad oscillare a 270 punti, peso insostenibile a lungo andare non solo dallo Stato, ma pure da imprese e famiglie.
Non è vero che il basso rendimento dei titoli pubblici giapponesi è determinato dall’intervento della Banca Centrale Giapponese che detiene il 42% del debito pubblico, perché anche la Bce, Banca d’Italia e banche Italiane (finanziate dalla Bce) detengono circa il 40% dei titoli dello stato italiano. Pertanto viene dimostrato che il modesto rendimento dei titoli giapponesi non è il risultato di un prezzo amministrato dalla Banca Centrale e dallo Stato.
La differenza è che il Governo Giapponese non spaventa gli investitori, mentre l’attuale spread pagato dal nostro paese sui mercati è indice di paura di una crisi a breve oltre a dubbi sulla sostenibilità del debito a lungo termine, sulla quale la Commissione Europea e i mercati si stanno interrogando.
Il Giappone paga interessi dello 0,5% del totale della spesa pubblica, l’Italia il 3,7%: così il Giappone riesce a liberare risorse per gli investimenti pubblici per il 10% della spesa, oltre il doppio dell’Italia, che invece è obbligata a pagare dai 60 agli 80 miliardi di €uro all’anno di interessi sul debito.
La sostenibilità del debito a lungo termine infine dipende dalla composizione della spesa pubblica e dall’efficienza dei servizi.
La pressione fiscale in Giappone è appena del 30,6% contro la nostra del 42,6%.
Il che vuol dire meno spesa pubblica (35,5% del Pil contro la nostra percentuale del 46,36%) ma allocata in modo più efficiente: il Giappone spende di più sull’Istruzione (7,6% del Pil contro il nostro 6,9%), quanto l’Italia per sanità e sicurezza, ma molto meno per trasferimenti correnti per pensioni e spesa sociale assistenziale (16% del pil contro il nostro 21%)
Quello che rende sostenibile nel tempo il debito è la crescita del reddito pro capite reso possibile dall’aumento della produttività del lavoro.
Dalla crisi del 2018 ad oggi a prezzi costanti il reddito pro capite in Giappone è cresciuto del 14,6% (0,9% in Italia), questo grazie alla produttività del lavoro che è aumentata del 9,8% contro la stasi di quella italiana.
In conclusione il Giappone non è il miglior sistema economico nel mondo, ma ci fornisce utili indicazioni sugli errori di lettura della tensione finanziaria dello Stato Italiano e ci consiglia di evitare la scappatoia dell’aumento del debito o della pressione fiscale per uscire dalla crisi.
La ricerca della produttività, ottenibile con l’aumento degli investimenti, dovrebbe essere la bussola che orienta la politica, concentrando le risorse e l’interesse di tutte le parti sociali su tale obiettivo.
A causa dei continui appuntamenti elettorali, si continua invece a far promesse di difficile realizzo, a prospettare soluzioni impraticabili come quella giapponese e a generare quindi conseguenze pesanti in termini di indebitamento e del suo costo, da cui un aumento dei rischi sulla tenuta delle casse dello Stato.