STALLO DELLA SITUAZIONE POLITICA ED ECONOMICA IN ITALIA
Negli ultimi 10 anni di questo secolo non vi è stata alcuna crescita del Pil e la circostanza si è verificata in una fase di discreta, anche se rallentata, crescita dell’economia mondiale.
E’ sufficiente ribadire che negli ultimi anni il Pil Italiano in termini reali è sceso di 0,3% all’anno, mentre è cresciuto dell’1,3% in Germania e dello 0,9% in Francia.
Se non cresce il Pil non cresce stabilmente il numero degli occupati e quindi il lavoro, in particolare quello qualificato, e ciò causa la fuga dei cervelli all’estero.
La politica e l’economia non hanno saputo dare risposta a cambiamenti che sono divenuti strutturali, primo fra tutti il cambiamento demografico, composto da un calo delle nascite e ad un contemporaneo aumento della durata media dei nostri concittadini.
Gli interventi una-tantum non hanno prodotto alcun effetto: l’aiuto alle famiglie con strumenti finanziari e con l’offerta di servizi per i nascituri per funzionare dev’essere duraturo e strutturale.
Una società che invecchia è inesorabilmente meno dinamica, meno predisposta a guardare al futuro, ad investire e ad accettare il rischio.
Abbiamo assistito alla strage delle imprese minori comprese quelle che, superata la crisi congiunturale, sono state messe in difficoltà dalla necessità di adeguarsi alle nuove tecnologie e alle nuove regole dei mercati globalizzati. Sono state varate con ritardo politiche di incentivo all’ammodernamento delle strutture produttive mentre sono stati timidi i tentativi di incentivare le fusioni e le reti di imprese in modo da renderle più adeguate ai mercati internazionali, così come è stato trascurato l’annoso problema del passaggio generazionale per garantire la continuità delle aziende famigliari.
Abbiamo infine assistito negli ultimi anni all’aumento, anche se ancora insufficiente, delle nuove imprese, quelle così dette start–up innovative, ma non abbiamo preparato strutture idonee ad assisterle e a farle crescere e di conseguenza sono destinate al nanismo, alla chiusura o ad emigrare.
Le imprese maggiori, che dovrebbero far da traino ai distretti generando effetto domino positivo, stanno passando in mano straniera con un ritmo insopportabile. Siamo diventati il ventre molle della nuova concorrenza internazionale. Lo shopping straniero non solo è avvenuto tra i settori produttivi della moda, dell’agroalimentare, della meccanica e della chimica, ma si è impadronito di una parte consistente del sistema bancario e di una quota significativa di quello finanziario.
E’ giunto il momento di difendere le nostre strutture produttive come fanno altri paesi della Ue, a partire dalla Francia, con il varo di una seria politica industriale e finanziaria volta a conservare quote quantomeno di minoranza attiva in mano al nostro paese. Non si stratta di ritornare all’Iri o ad altri carrozzoni pubblici del passato, come la Gepi di triste memoria, ma di varare una strategia di politica industriale da affidare ad esempio alla Cassa Depositi e Prestiti o altra Agenzia statale equipollente, il compito di aiutare l’aumento degli investimenti privati in settori strategici di vitale importanza quali le comunicazioni, le nuove fonti di energia, il credito, la logistica e tutti i servizi alle imprese e alla persona.
Resta la domanda di fondo di come reperire le risorse necessarie per gli interventi suindicati in presenza di un debito pubblico che rende difficile ogni aumento di spesa e che richiede che gran parte dell’aumento seppur modesto del Pil sia destinato al pagamento degli interessi, rendendo, da un decennio , problematico ogni investimento pubblico.
Due le strade :
La prima strada tramite l’ottenimento di una deroga da parte della Ue, obiettivo difficile da perseguire dato lo stock di debito pubblico e in presenza di una classe politica, priva di continuità, dedita al soddisfacimento delle istanze e della difesa degli interessi a breve termine ad ogni cambio di governo. Ogni governo italiano fatica a trovare credito in Europa a sostengo di un piano radicale di investimenti.
La seconda ancor più difficile è quella di affrontare seriamente il nodo scorsoio dell’evasione fiscale. Nessuno è stato in grado di prendere di petto questo problema proprio perché tocca interessi economici e politici che appaiono insormontabili, ma è l’unica strada percorribile per evitare il fallimento del nostro paese nel lungo termine utilizzando risorse interne. Sorprende quindi la levata di scudi sulla quantità del contante che abbiamo in tasca o nelle cassette di sicurezza, mentre è oramai assodato che l’unico modo per aggredire l’evasione di massa è la tracciabilità delle transazioni .