Possiamo farcela a superare la crisi da pandemia, la transizione verde e ad evitare di diventare un paese di serie B?
Le crisi ambientali e la pandemia da Covid 19 ci hanno portato, oltre alle ricorrenti ondate con difficoltà sanitarie e di convivenza civile e disastri ambientali inimmaginabili fino a qualche anno fa, aspetti positivi come l’aiuto della Ue con il Pnrr e la consapevolezza che il nostro sistema economico e sociale può reggere solo con interventi gestiti di comune accordo a livello mondiale.
In questi mesi soffriamo degli effetti del periodo più o meno lungo di lockdown quali le bolle speculative o meno sull’energia, sulle materie prime e sui semiconduttori, mentre le crisi ambientali che ci hanno convinti a intraprendere la strada della transizione digitale ed ecologica possono condurci a migliorare l’ambiente ma anche ci portano il pericolo di una perdita di peso economico della Ue e dell’Italia in particolare.
Sono anni che in Italia le imprese hanno frenato nel fare investimenti e se li hanno fatti sono stati prettamente finanziari, per acquisire aziende, riportare in Italia pezzi di filiere in passato delocalizzate, difendersi in qualche modo dalla crisi del mercato globale che la pandemia ha aumentato in modo esponenziale evidenziando i difetti in precedenza trascurati.
A causa di carenza di investimenti tecnici l’età dei mezzi di produzione è raddoppiata (10 anni nel 1993 salita a 20 anni nel 2020). Molte imprese hanno tenuto aperte fabbriche vetuste per produrre manufatti maturi a costi minori (meno ammortamenti e salari contenuti) gareggiando con paesi a basso costo del lavoro o peggio ad alta innovazione. Senza parlare del costo dell’energia che in assenza di impianti nucleari, costa di più e viene importata dalla Francia e dalla Slovenia confinanti.
Con il Pnrr abbiamo l’occasione storica del ringiovanimento di impianti, macchinari ed infrastrutture, ma si riuscirà in un decennio a recuperare un ritardo misurabile in 30 anni di mancanza di una politica industriale e dei servizi?
Le imprese inizieranno subito ad investire o spaventate dalle bolle in corso rimarranno per anni ancora alla finestra?
Quello che bisogna fare per guadagnare competitività ed evitare di finire definitivamente fra i paesi in declino è noto e varia da settore a settore:
Sullo sfondo un pericolo sottostimato dalla Ue e dall’Italia: che sia l’energia necessaria per sostituire i prodotti fossili che generano Co2 che i minerali necessari per arrivare alla loro sostituzione sono monopolizzati dalla Cina e in misura minore dalla Russia.
Già attualmente tali paesi condizionano pesantemente le forniture di minerali, semi conduttori e gas sia nei prezzi che nella loro disponibilità, situazione che con lo sviluppo enorme previsto in futuro dalla transizione ecologica porterà la necessità di energie alternative e di metalli collegati ad una penuria che farà aumentare i prezzi. L’effetto lo stiamo già pagando con l’aumento dell’inflazione importata, ma siamo sicuri che sia una situazione transitoria che finirà a partire dal 2023 come prevede la Bce e i più accreditati osservatori economici?
Si stima che nei prossimi anni passeremo da essere tributari dei produttori di petrolio, controllati da governi poco condizionabili perfino dalla Ue, ad essere pesantemente condizionati dalla Russia e dalla Cina, la prima, produttrice del Gas indispensabile nella fase di transizione, la seconda, di metalli indispensabili e vitali per la produzione di energie rinnovabili e per garantire la digitalizzazione delle comunicazioni e automazioni che il progresso richiede.
Aver lasciato l’Africa alla deriva, visto come continente foriero di pericolose immigrazioni e poco appetibile per la sua arretratezza, ha consentito alla Cina di monopolizzare come nel Congo il controllo delle miniere di metalli rari e diventare da fabbrica del mondo dei prodotti a basso prezzo con cui per decenni abbiamo combattuto a maggior produttore e detentore di metalli vitali per lo sviluppo delle moderne economie.
Si correrà ai ripari, ma certo l’Italia da sola non potrà farcela se non con l’aiuto della Ue e con l’utilizzo rapido ed efficiente dei fondi messi a disposizione con il Pnrr. Occorrerà investire non solo in infrastrutture, bensì soprattutto sulla scuola e sulla ricerca perché sarà il capitale umano che farà la differenza nella competizione globale nella quale il territorio collegato con il mondo potrà nelle nicchie di eccellenza scambiare il sapere e il saper fare con l’energia e le materie prime di cui da sempre il paese trasformatore come l’Italia è privo.