Rischi concreti di inflazione e di aumento del costo del denaro per l’esercizio 2022
Lo scorso ottobre vi avevamo già messo in guardia dai rischi di una ripresa dell’inflazione che, diversamente dell’allora opinione comune agli addetti ai lavori, ritenevamo non fosse transitoria.
A costo di sembrare delle cassandre dicemmo che gli stimoli di cui avevano goduto in tutto il mondo le economie di mercato con l’enorme liquidità immessa dalle Banche Centrali non potevano non causare un aumento dell’inflazione. A ciò vanno aggiunti gli effetti negativi determinati dalla pandemia quali l’aumento del costo delle materie prime, la carenza dei microchip, l’aumento del costo dei noli e buon ultimo l’aumento del costo dell’energia (dal petrolio al gas). La tempesta perfetta sui prezzi era ormai delineata.
Quindi in presenza di dati sull’inflazione in zona Ue del 4,9% (media mese di novembre) non è pensabile che la Bce non decida prima o poi di aumentare i tassi e limitare il credito. E’ ben vero che la signora Lagarde, presidente della Bce, a dicembre ha affermato che i tassi resteranno al livello attuale (a zero) per tutto il 2022, ma con una inflazione tornata ai massimi in Germania (5,2%), siamo sicuri che nei prossimi mesi non cambierà opinione?
Anche in Italia, al di là degli macroscopici aumenti nel settore dell’edilizia, effetto perverso del provvedimento governativo del 110%, abbiamo verificato in questi ultimi periodi l’aumento dei prezzi al consumo causa carenza materie prime e costo dell’energia, e per finire tensioni sul mercato del lavoro che incideranno sui salari, quindi sui prezzi di produzione e di vendita.
Siamo sicuri che il protrarsi della carenza di materie prime e di manodopera qualificata a gestire la transizione energetica non determini una stabilizzazione dell’inflazione ben sopra al 2% limite di intervento della Bce e il costo del denaro non cominci a salire?
Questo quadro d’insieme porta a presumere che nel prossimo biennio, e più velocemente del previsto, i tassi di interesse cominceranno ad aumentare.
Che fare? L’inflazione all’inizio è sempre un fenomeno positivo, consente di aggiustare i prezzi di vendita con più capacità negoziale nei confronti della clientela (a parte la Gdo che è sempre agguerrita in merito), ma alla lunga fa imbarcare aumento costante dei costi ed in particolare, per quanto ci riguarda, un aumento del costo del denaro magari superiore ai margini acquisiti nel frattempo.
In tale contesto è fondamentale che i piani di investimento siano rivisti, tramite una verifica del costo dell’indebitamento presente e futuro, in quanto i flussi finanziari calcolati in partenza potrebbero non bastare più qualora le rate dei piani di ammortamento aumentassero in misura sensibile.
Riteniamo pertanto opportuno, laddove fosse possibile e si trovassero banche disponibili, cominciare a pensare di trasformare i finanziamenti più duraturi, contratti a tassi variabili, in finanziamenti a tasso fisso, con ricorso ad eventuali surroghe se necessarie, qualora le banche concedenti non fossero disponibili al cambiamento.
Nulla vieta infine che ai piani di ammortamento a tassi variabili si possa prudenzialmente aggiungere una copertura del rischio di tasso che di fatto li renderebbe a tasso fisso.
Operazione che comporta un costo iniziale ma che a nostro avviso potrebbe essere comunque opportuna in questo momento per quei finanziamenti importanti e di lunga durata per le Pmi, al fine di evitare di trovarsi in difficoltà fra qualche anno con la curva dei tassi a breve decisamente in salita senza poter porvi rimedio.