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Instabilità e valutazione dei rischi nel mondo 

2016-09-23 00:00:00.0000000

INSTABILITA’ E VALUTAZIONE DEI RISCHI NEL MONDO

Sempre più economisti pensano che la politica ultra-espansiva stia perdendo efficacia tanto negli Usa che nella Ue. Tuttavia appena le banche centrali accennano a ritirarla (Usa) o a non incrementarla (Bce) rispetto a quanto gli investitori si attendono, sui mercati finanziari scatta il panico.

E’ bastato che giovedì scorso la Bce non annunciasse l’allungamento del quantitative easing e che venerdì la Fed ventilasse l’ipotesi di rialzare i tassi perché le borse entrassero in fibrillazione.

Tuttavia gli effetti di una possibile stretta della Fed potrebbero essere meno pesanti rispetto a fine 2015 inizio 2016 quando i paesi emergenti, Cina in testa, hanno registrato poderosi tracolli. Questo perché in dieci anni di espansione monetaria le aziende di questi paesi si erano riempite di debiti (bancari e obbligazionari) in valuta Usa. Il rialzo dei tassi Usa le ha trovate impreparate in quanto non solo aumentava il costo del danaro ma soprattutto si trovavano troppo esposte sui rischi di cambio.

Oggi la storia potrebbe essere diversa. Le imprese hanno avuto il tempo di ‘coprirsi’. Lo yuan nei mesi scorsi si è indebolito rispetto al dollaro e ha costretto la banca centrale cinese a bruciare riserve. Erano le imprese cinesi che rimborsavano precipitosamente i debiti in Dollari, creando effetto ribassista sulla moneta cinese. Molto probabilmente se i tassi americani salissero nuovamente, la Cina soffrirebbe di meno.

Diversa è la situazione attuale della borsa americana. Wall Street ha raggiunto e superato tutti i record, eppure i profitti delle aziende quotate in Usa sono scesi del 2,2%, dato che stride e che potrebbe pesare sulla performance borsistica in futuro, qualora la Fed decidesse di alzare in effetti i tassi. C’è inoltre da tenere conto che buona parte della crescita delle quotazioni finora era ‘gonfiato’ dall’acquisto da parte delle imprese Usa quotate di azioni proprie (Buy –back).

Analogo problema sul mercato obbligazionario. I titoli di stato Usa non sono infatti preparati ad una o più strette monetarie. Il mercato continua a non credere che la Fed l’attui davvero. Fino a fine 2018 sconta un incremento dei tassi di solo 0,25/0,50%.

Infine i guai iniziano a intravvedersi negli Usa anche per chi investe in obbligazioni emesse da imprese, deboli e quindi a tassi elevati (Junk-Bond). Le insolvenze di queste aziende stanno velocemente aumentando. Gli investitori che possiedono questi bond in caso di default perderebbero più che mai.

Ricordiamo come molti Fondi di investimento Anglosassoni e Banche d’affari internazionali, in una fase di scarsa remunerazione della liquidità anche in Europa, si siano date da fare tramite banche italiane ed intermediari finanziari a riempire risparmiatori ed aziende italiane, liquide e desiderose di opportunità di rendimenti appetibili, di quote di fondi speculativi e/o aggressivi, che ora potrebbero produrre perdite. Le banche hanno percepito compensi da intermediazione, i risparmiatori accumulato rischi. 

 Le aziende, nell’incertezza del futuro, timorose del bail-in divenuto possibile con la nuova riforma Ue del sistema bancario, non investivano, e per ottenere rendimenti elevati parcheggiavano la liquidità in bond o fondi. Draghi tramite la Bce pompava moneta Banche e investitori speculavano.

Ecco perché la Fed prenderà ancora un po’ di tempo: la mappa dei rischi della vulnerabilità in pochi mesi è cambiata a sfavore delle aziende Usa e degli investitori in titoli Usa. E la Fed non sa che pesci pigliare. E sappiamo come le vicende che riguardano gli Usa prima o poi rimbalzano in Ue ed in Italia poi.

Che sia questo il motivo non detto dalla Bce-Draghi che non ha incrementato giovedì scorso il quantitative easing per evitare di dare una spinta ulteriore alla liquidità in Europa e fornire ulteriori spunti alla speculazione? La spinta ulteriore avrebbe potuto gonfiare la bolla in Europa, mentre, quello che serve è che l’Europa ed i governi nazionali impostino una vera e duratura politica di investimento, con la quale, la liquidità ora in eccesso, possa essere investita in beni e servizi reali facendo uscire l’Ue dalla crisi di bassa inflazione e sviluppo insufficiente.