IL PARADOSSO ITALIANO
L’Italia è da un lato il paese in coda fra i 28 Stati dell’UE per crescita, occupazione e investimenti, dall'altro le sue maggiori aziende quotate in Borsa, che quest’anno distribuiranno dividendi per 19 miliardi (conseguiti nel 2018) confermano risultati brillanti. Le trimestrali di ieri delle stesse aziende confermano per il 2019 lo stesso andamento positivo dello scorso esercizio.
Le imprese in Italia sono circa 4 milioni e danno lavoro a circa 16 milioni e 700 mila persone (dati Istat). Se consideriamo industria e servizi, la maggioranza sono imprese di piccola dimensione (meno di 9 addetti) mentre le grandi (con oltre 250 addetti), sono solo lo 0,1% del totale e assorbono il 20,6% dell’occupazione.
Le aziende quotate sono ancora poche e non sono sufficienti per condizionare nel bene o nel male l’andamento del Pil: di certo in questi anni hanno dato soddisfazione a soci e risparmiatori con distribuzione di dividendi soddisfacenti. Sono imprese che possono permettersi di ricorre ad altre forme di finanziamento oltre a quello bancario, a cui sono condannate le Pmi bancocentriche, magari emettendo obbligazioni o provvedendo ad aumento di capitale in occasione di investimenti strategici.
Le Pmi invece fanno fatica a stare in piedi, specie in questa fase di crisi di liquidità e contenimento del credito da parte della banche.
Le grandi aziende possono diversificare mercati e prodotti ed investire in economie di scala, le piccole invece spesso risultano mono-prodotto se non mono-committenza, cosa che le rende vulnerabili ad ogni modifica del quadro economico. La maggioranza delle aziende italiane sconta dunque lo scotto di essere di piccola dimensione e di trovare difficoltà ad ingrandirsi: ciò si riflette sui risultati del Pil, cosa che non avviene negli altri stati dell’UE dove la percentuale di grandi imprese è maggiore.
La politica purtroppo non aiuta le imprese italiane di piccole dimensioni ad essere competitive, se non con provvedimenti che paradossalmente favoriscono il mantenimento del loro nanismo. La recente riforma fiscale con l’introduzione della flat tax premia i piccoli imprenditori e li invita a restare piccoli. Era meglio l’Ace (Aiuto alla Crescita Economica- agevolazione fiscale all'aumento del capitale) che concedeva benefici alle imprese se reinvestivano e quindi tendevano ad aumentare di dimensioni. Forse andava rafforzata tale misura anziché sopprimerla.
Bisognerebbe scommettere su isole di eccellenza nate attorno ad alcune aziende campione che facciano da traino, attorno alle quali si svilupperebbe nel tempo un maggior indotto. Inoltre bisognerebbe facilitare aggregazioni per raggiungere dimensioni apprezzabili in modo da competere sui mercati globali. I dati confermano che non è più valido l’assioma del passato piccolo è bello, oramai trasformato in piccolo è difficile
Purtroppo se lo stato decide di aiutare le piccole realtà potrà ricevere consensi, tuttavia finirà per mantenerle nelle loro difficili condizioni e di conseguenza non favorirà la crescita del Pil.