L’ITALIA VISTA DAL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE
Si è aperta una finestra favorevole per intervenire in modo strutturale sulle debolezze del nostro sistema paese, fra qualche anno potrebbe essere troppo tardi.
Arrivano note positive dall’accordo di nuovi aiuti e di ristrutturazione del debito della Grecia, anche se i contenuti ed i tempi restano vaghi, a causa del rinvio made in Germany (risvolti elettorali delle elezioni in Germania previste nel 2017).
Dall’Istat arrivano invece segnali negativi, che confermano la frenata a marzo del comparto auto e del fatturato dell’industria in Italia (calo del 3.6% dovuto sia ad un rallentamento interno che ad un calo dell’export). Questo dato non è da sottovalutare ma è da leggere con attenzione e senza allarmismi in quanto incorpora ancora una riduzione dei prezzi dell’energia e dei fattori produttivi (deflazione ancora sopra lo 0,50%).
In questo scenario di chiari e scuri, il ministro del Lavoro invita alla calma, in quanto dopo una crisi che dura 8 anni i dati altalenanti non debbono preoccupare più di tanto, mentre un esponente dell’opposizione afferma che così si sta dimostrando l’inefficacia della politica governativa.
Vale dunque la pena di capire come il nostro paese venga visto da un osservatorio esterno molto qualificato e imparziale come il FMI.
Infatti il Fondo è stato in visita in queste settimane a Milano e a Roma al fine di meglio valutare la politica economica del governo.
Secondo il FMI l’Italia può svoltare solo adesso, in presenza di tre fattori favorevoli difficilmente ripetibili, quali il crollo dei tassi di interessi , il crollo del prezzo del petrolio, e la flessibilità accordata dalla Ue ai vincoli di bilancio che permette il permanere di un bilancio pubblico in deficit.
Fattori che hanno generano una spinta sul Pil di circa 0,8% nel 2015.
Per il FMI senza tali spinte irripetibili, della ripresa del Pil italiano dello 0,8% nel 2015 e dell’ 1,1% previsto nel 2016, resterebbe ben poca cosa, cioè un misero + 0,3% nel 2016 generato dal dinamismo intrinseco dell’economia del paese.
Per curare l’anemia cronica del sistema economico italiano le ricette del FMI coincidono con quanto il governo ha realizzato o messo in cantiere, a partire dal Jobs Act.
Il FMI ha ridimensionato l’idea che la ripresa da sola, e comunque sostenuta con provvedimenti a volte controversi fra governo ed opposizione, possa risolvere il divario fra l’Italia ed il resto dell’UE, creatosi con la crisi partita nel 2008. L’Italia ha davanti a sé un decennio di sviluppo debole, durante il quale il debito difficilmente scenderà e la crisi del credito, derivante dallo stock dei crediti in default, difficilmente sarà risolvibile. Potrebbero essere segnali di resa che dimostrerebbero, nonostante gli sforzi in atto, come il divario sia incolmabile.
Il messaggio del FMI invece è opposto: il momento di agire per il governo è adesso. Propone di intervenire in modo deciso sulla pressione fiscale, troppo pesante specie sui redditi da lavoro (cuneo fiscale), sull’inefficienza dell’amministrazione pubblica e sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori (concorrenza-liberalizzazioni).
Di qui il difficile gioco di equilibrio che secondo il FMI il governo ha davanti a sé: la politica fiscale deve tenere in vita la ripresa senza rinunciare a ridurre il debito. Il Governo deve tagliare le tasse sul lavoro e i redditi in genere e nel contempo deve effettuare scelte impopolari, quali quelle di ridurre la spesa pubblica inefficiente (facile a dirsi , difficile a farsi) ed eliminare deduzioni e detrazioni fiscali ingiustificate o insostenibili, fino alla decisione di alzare l’Iva sulle aliquote ridotte. Lacrime e sangue, altro che facili soluzioni esposte da alcuni nostri politici irresponsabili che frequentano talk show e web, senza tener conto dei vincoli di bilancio.
In conclusione le ricette del FMI sembrano coincidere con quelle del governo, ma con effetti positivi di lungo termine. La differenza sta nel fatto che poi il FMI non dovrà presentarsi alle elezioni e sottoporsi al giudizio di una popolazione esausta e indubbiamente condizionabile da facili promesse. Pertanto non è detto che tutto ciò che serve a risolvere la crisi sia posto in atto per paura di subire uno scotto elettorale.
Anche secondo Washington l’Italia può uscire dal tunnel: sta meglio di 4 anni fa e deve assolutamente approfittare della finestra attuale per agire sulle cause strutturali della crisi, ricordandosi di aver già rischiato il default appena quattro anni fa per non aver agito in modo tempestivo e radicale.